Mamme che viaggiano con i loro bimbi: a loro dico grazie

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Essere travel blogger mi ha portato ad incontrare una tipologia di mamme che conoscevo poco: quelle che viaggiano e che spesso lo fanno con mariti e figli. Figli talvolta molto piccoli.
Scoprono il mondo insieme a loro, passo dopo passo, sapore dopo sapore. Su treni, auto, aerei. Dentro ai musei, nei ristoranti, per le strade, nelle chiese e nei parchi. In Italia come in Cambogia, in Francia come in India.
Io le amo.
Perchè mi fanno vedere un aspetto della maternità e della famiglia che credevo non esistesse.
Quello che ho visto per gran parte della mia vita è stata l’omologazione verso il basso, vacanze preconfezionate sempre uguali tra spiaggia e passeggiata sul lungomare: ogni anno lo stesso panorama, ogni stagione lo stesso scenario. Confortevole e comodo, non c’è dubbio, perché i figli costano moltissima fatica, una fatica a tratti estenuante.
Eppure ci sono mamme che lo spirito dei loro figli lo vogliono riempire con incontri e sceneggiature diverse, stuzzicando la curiosità e i desideri che ogni amore dovrebbe portare con sé, regalando esperienza e conoscenza, che sono i semi della libertà.
La curiosità conosce poca pigrizia, e la fantasia ha bisogno di linfa. Continua a leggere

Se vi sanguinano le gengive (sul rapporto col dolore)

doccia

Quando ero piccola e mi lavavo i denti, capitava che mi sanguinassero le gengive.
Mia mamma arrivava di fianco a me e mi diceva sempre: “Sfrega più forte, falle sanguinare bene, fai spurgare tutto il marcio
Lei soffriva di piorrea, io avevo ancora i denti da latte: di marcio in bocca non avevo ancora niente.
Quando pronunciava la frase “falle sanguinare bene”, digrignava i denti: lo diceva con un certo gusto espiatorio, piena del piacere sadico della purga. Le brillavano gli occhi.
Il DNA non si smentisce, e da adulta mi è venuta la parodontite.
Pur essendo cresciuta con l’insegnamento che se qualcosa fa male bisogna soffrire per bene per purgare e spurgare il marcio, sono andata dal dentista che mi ha curato le gengive deboli e sanguinanti e la situazione è molto migliorata.
Crescendo, ho imparato che soffrire tanto non è il modo per avvicinare la fine della sofferenza o per togliere il marcio o per imparare qualcosa o per diventare grandi e saggi: questa agghiacciante eredità (forse un po’ cattolico-derivata), l’ho rimpiazzata con la consapevolezza che il marcio non si purga mai se non lo si cura.
Il marcio va curato, alcune volte chiedendo aiuto.
Perché senza cura la sofferenza non serve a niente: non guarisce, non nobilita, non risana.
Non serve a niente portare la croce: che se proprio volete bruciare calorie, non è necessario salire sul Golgota.
Se vi sanguinano le gengive, andate dal dentista: smetteranno di sanguinare e voi starete meglio.

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Maledetto imprinting

Ho sempre pensato che il mio brutto carattere fosse qualcosa di innato, e che il mio fastidio per la condivisione degli spazi fosse solo uno degli aspetti ostici della mia indole da zitella.
Che brutta parola, zitella. Soprattutto quando te la senti talmente tanto nelle orecchie che ti entra dentro: un errore che noi donne facciamo spessissimo e senza nemmeno rendercene conto, quello di inglobare e fare nostri giudizi e pregiudizi che non ci appartengono.


Ho sempre pensato che la mia resistenza all’invasione (spaziale e temporale), la territorialità felina, l’intolleranza alla vicinanza corporea, la resistenza alla condivisione e l’accoglienza stitica facessero semplicemente parte del mio essere una stronza.
E invece no. Non è che io sono nata così.
L’ho imparato.


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Le mine vaganti

In questi giorni di degenza, in cui qualsiasi cosa da fare è fastidiosa come un collare di plastica rigida steccato sotto il mento, il tempo vola pesante. Strano a dirsi.
C’è tempo per pensare, perché tutte le battaglie aspettano sullo zerbino di casa: accovacciate, arrotolate su loro stesse per tenersi calde, sbirciano con malcelata noncuranza la mia C5, in attesa che l’inversione del rachide cervicale si normalizzi e mi dia tregua.
C’è tempo di stare su Sky, e di incappare in un film che s’intitola “Mine vaganti”, e che finisce così:  Continua a leggere

Le lezioni sbagliate (ovvero, i cattivi insegnamenti)

Quando ero piccola e i miei amici mi invitavano a casa loro per giocare, mia mamma non mi mandava mai, dicendo: “Ti invitano ma in realtà non ti vogliono. A casa degli altri si è sempre di troppo e si disturba. La gente lavora e non ha bisogno di avere altri mocciosi in giro per casa”.
Quando poi mi capitava di riuscire ad andare, cercavo di dare meno fastidio possibile, evitando di chiedere da bere se avevo sete o facendomi venire il mal di pancia se mi scappava la pipì, tanto che andare a casa degli altri non mi risultava alla fine poi tanto piacevole. Continua a leggere

Una scoperta d’amore

L’altra notte mi è suonato il telefono alle quattro: mia mamma mi chiedeva di andare a prendere lei e mio padre in pronto soccorso.
Dicono che i figli siano la nostra parte vulnerabile esposta nel mondo. Io questo non lo so.
Ma so che i genitori sono la colonna vertebrale che ci tiene in piedi nella vita.
In questo 2008 che mi ha portato la consapevolezza che prima o poi dovrò anche io rinunciare al loro sostegno, ho anche fatto un’enorme e impagabile scoperta d’amore.

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Ce l’avete molle

Nella mia famiglia esistono due linee antropologiche ben distinte: quella dei disgraziati (da parte di madre) e quella dei benedetti-da-dio (da parte di padre).
I parenti paterni sono tutti brava gente dal percorso netto, casa, chiesa, lavoro, una fidanzata che poi diventa moglie, un lavoro senza ambizioni ma tanta devozione, stuoli di pargoli belli e sani. La Barilla ci fa le pippe.
I parenti materni invece sono una ciurma di diseredati senza dio, ragazze madri, alcolisti, incidenti stradali e morti scenografiche, sindromi maniaco-depressive e tentati suicidi. Ovviamente la parte divertente della famiglia è questa. Continua a leggere